Baluardi contro il land grabbing, promotori di biodiversità e difensori della sovranità alimentare
«Non si può più svendere la terra africana agli stranieri. La terra dell’Africa appartiene ai giovani africani». Con queste parole il presidente di Slow Food Carlo Petrini ha aperto quella che forse è una delle conferenze più importanti di questa decima edizione del Salone del Gusto e Terra Madre: 10.000 orti per il futuro dell’Africa. «Fare un orto è un atto politico: aiuta a risolvere il problema della malnutrizione, a difendere la sovranità alimentare. È vero, 10000 orti in Africa sono solo una goccia nell’oceano, ma con gli orti abbiamo dato il via a una rete forte che cresce e lavora per cambiare il futuro dell’Africa» conferma il keniota John Kariuki, vice presidente Fondazione Slow Food per la Biodiversità e coordinatore del progetto 10000 orti in Africa nel suo Paese. Un orto in Africa coltivato da Slow Food: «Offre ai nostri figli la possibilità d i un futuro di pace e giustizia, dove sia garantito a tutti l’accesso a un cibo buono, pulito e giusto. Gli orti hanno un ruolo fondamentale anche perché proteggono e promuovono la nostra agro-biodiversità, perché permettono ai giovani di avere un ruolo importante e di recuperare il sapere degli anziani, perché preservano la nostra terra» ci ha spiegato John. L’importanza del progetto di Slow Food è stata accolta anche da Google che si è impegnato mappare tutti gli orti coltivati in Africa: «Potrete vedere non solo dove sono coltivati, ma anche le foto dei prodotti e di chi li coltiva» ha annunciato Petrini. Un orto è anche leva di cambiamento in Paesi devastati da conflitti e che più di altri pagano il prezzo dei cambiamenti climatici, come ci racconta Mohahed Abdikadir Hassan, coordinatore dei 10.000 orti Somalia: «Per noi coltivare un orto significa fare educazione: la globalizzazione ha cambiato le nostre abitudini e alterato i nostri gusti. Tanto che ora è sempre più difficile far consumare prodotti tradizionali e vegetali Con gli orti entriamo nelle scuole, a partire dai bambini arriviamo alle famiglie, un traguardo per noi importantissimo». Nonostante le difficoltà politiche in Somalia oggi contiamo 54 orti e 4 Comunità Slow Food: «E siamo molto ottimisti per il futuro» esclama Mohahed. In Zimbabwe stiamo «Diffondendo la cultura del passing on the gift: scambiare le sementi e a fine raccolto donarle a qualcun altro perché possa cominciare una nuova avventura agricola», racconta Gladman Chibememe, coordinatore del progetto.
Gli orti sono un baluardo contro il land grabbing, l’accaparramento indiscriminato delle terre che priva le popolazioni locali delle risorse fondamentali costringendole all’emigrazione: «Rubare a un popolo il suo terreno è come rubare la sua cittadinanza. L’accesso al cibo non può più essere determinato dalle multinazionali» interviene il sudafricano Themba Austin Chauke studente dell’Università di Pollenzo. Gli fa eco Edie Mukiibi, vicepresidente di Slow Food: «Per anni ci hanno fatto credere che in Africa fosse possibile solo la monocultura quando invece le specie coltivabili in un singolo territorio sono più di 600, in tutte le stagioni dell’anno, da quelle secche a quelle umide. Quando ho spiegato a mio nonno il mio lavoro mi ha incoraggiato a continuare: i fiori sbocciano anche quando nessuno li guarda e il loro profumo lo potranno sentire tutti, anche a molti chilometri di distanza».